Disclaimer: non recensisco i libri in base a verità oggettive ma solo in base ad opinioni personali, quindi qualsiasi giudizio è soltanto una mia opinione.
Autrice: Mary Shelley
Editore: Feltrinelli
Traduttore: G. Barrioni
Data di pubblicazione: 2013
Pagine: 304
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Sinossi: "Uno spettro si aggira per l'immaginario collettivo, e questo spettro si chiama Frankenstein. Mary Shelley ha indubbiamente creato un capolavoro, ma anche una sorta di icona pop, divenuta proverbiale e versatile, tale da essere evocata nelle situazioni più impensate. [...] Da un lato Frankenstein suscita interesse come ipotesi sulla possibilità di un mortale di sostituirsi a Dio, o alla Natura, mentre dall'altro riporta alla luce ogni sentimento di orrore e di repulsione radicato nei più profondi recessi dell'animo umano. Sotto questo punto di vista, l'impatto dell'opera sul lettore è duplice, stimolandone allo stesso modo l'interesse così come le più cupe emozioni; il ritmo serrato dell'inseguimento assieme ai crimini perpetrati dal mostro contribuiscono ulteriormente a tenere alta la tensione, mentre il pericolo della cosiddetta "hideous progeny" - a cui la creatura potrebbe dare origine se dotata di una compagna della stessa specie - provoca le stesse paure generate dal dilagare di una pestilenza".
La mia opinione: Un libro che mi ha suscitato impressioni contrastanti.
Da una parte è sicuramente da apprezzare, è stato innovativo per la sua epoca, originale in quanto narra di una tematica mai scritta prima, dall’altra, se letto ai giorni nostri rimane di certo un po’ indigesto nello stile, ma anche e soprattutto (cosa che mi ha dato più fastidio) superficiale nel pensiero.
La scrittura è ampollosa, soprattutto per quanto riguarda i dialoghi, che li avrei visti bene recitati a teatro in un dramma shakespeariano, mi sembrano troppo forzati e artefatti, più che dialoghi sembrano monologhi prolissi e retorici. Il concetto che esprime è molto triste. Frankenstein in realtà non è il nome del “mostro” ma del suo creatore, perché il “mostro” nel libro invece non ha nome. Questo “mostro” (continuo a metterlo tra virgolette perché poi così mostro non è) è in realtà una creatura d’intelletto, con nobili sentimenti, e supera di molto l’intelligenza del suo stesso creatore, che a suo confronto si dimostra un essere umano di mentalità ottusa che lo ripudia solo per il suo aspetto estetico “ripugnante”. E anche tutti gli altri personaggi che compaiono nel libri risultano ottusi e ottenebrati solo dall’aspretto estetico come metro di giudizio su tutto. L’autrice calca molto l’attenzione su questo concetto, ma non condannandolo, ma anzi esaltandolo, come se per lei fosse appunto giusto che chi esteticamente non è all’altezza degli altri venga quindi discriminato ed escluso da ogni felicità, non manca mai di ribadire quanto sia brutto e mostruoso il “mostro”, e anche quando dimostra di essere una creatura buona e caritatevole in cerca di affetto e comprensione, ciò gli viene negato solo e soltanto perché è brutto.
Io speravo che in cuor suo l’autrice avesse scritto il libro secondo una chiave di lettura diversa, a questo proposito sono andata a leggere la prefazione per cercare di carpire informazioni supplementari. Invece a quanto pare l’autrice stessa afferma di aver scritto questo libro nell’intento di ispirare semplici sentimenti di orrore, spavento e disgusto nel lettore, quindi è con un po’ di delusione che ho appreso che non ci sono messaggi subliminali nascosti e ciò mi fa provare solo una gran pena per tutta la vicenda in generale. Vi è troppo l’elogio del bello e la condanna del brutto, ne viene fuori un romanzo superficiale.
Non so… speravo di leggere un bel romanzo gotico e mi sono trovata invischiata in questioni che mi hanno fatto riflettere più che altro sulla mentalità ristretta del contesto nel quale questo libro è stato scritto.
La scrittura è ampollosa, soprattutto per quanto riguarda i dialoghi, che li avrei visti bene recitati a teatro in un dramma shakespeariano, mi sembrano troppo forzati e artefatti, più che dialoghi sembrano monologhi prolissi e retorici. Il concetto che esprime è molto triste. Frankenstein in realtà non è il nome del “mostro” ma del suo creatore, perché il “mostro” nel libro invece non ha nome. Questo “mostro” (continuo a metterlo tra virgolette perché poi così mostro non è) è in realtà una creatura d’intelletto, con nobili sentimenti, e supera di molto l’intelligenza del suo stesso creatore, che a suo confronto si dimostra un essere umano di mentalità ottusa che lo ripudia solo per il suo aspetto estetico “ripugnante”. E anche tutti gli altri personaggi che compaiono nel libri risultano ottusi e ottenebrati solo dall’aspretto estetico come metro di giudizio su tutto. L’autrice calca molto l’attenzione su questo concetto, ma non condannandolo, ma anzi esaltandolo, come se per lei fosse appunto giusto che chi esteticamente non è all’altezza degli altri venga quindi discriminato ed escluso da ogni felicità, non manca mai di ribadire quanto sia brutto e mostruoso il “mostro”, e anche quando dimostra di essere una creatura buona e caritatevole in cerca di affetto e comprensione, ciò gli viene negato solo e soltanto perché è brutto.
Io speravo che in cuor suo l’autrice avesse scritto il libro secondo una chiave di lettura diversa, a questo proposito sono andata a leggere la prefazione per cercare di carpire informazioni supplementari. Invece a quanto pare l’autrice stessa afferma di aver scritto questo libro nell’intento di ispirare semplici sentimenti di orrore, spavento e disgusto nel lettore, quindi è con un po’ di delusione che ho appreso che non ci sono messaggi subliminali nascosti e ciò mi fa provare solo una gran pena per tutta la vicenda in generale. Vi è troppo l’elogio del bello e la condanna del brutto, ne viene fuori un romanzo superficiale.
Non so… speravo di leggere un bel romanzo gotico e mi sono trovata invischiata in questioni che mi hanno fatto riflettere più che altro sulla mentalità ristretta del contesto nel quale questo libro è stato scritto.
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